Campioni di schettinaggio

Il furto di Lusi, tesoriere del disciolto Partito della Margherita, è passato quasi sotto silenzio su Fb. Erano tutti distratti dal gelo e dalla neve (novità assolute dell’inverno alle nostre latitudini) e si sa che distrazione caccia distrazione…
Eppure non sarebbe neanche l’enormità della somma distratta (26 miliardi delle vecchie lire) a dover stupire, né l’impossibilità che un simile buco sia potuto passare inosservato per così tanto tempo senza la complicità di altri vertici del partito ex Dc confluito nel Pd (se ne sarebbero accorti alla Fiat, figuriamoci in un partitino come la Margherita), ma dovrebbe meravigliarci il fatto che un “partitino defunto” abbia così tanti soldi in cassa. Invece li ha (li aveva…) perché i politici, nonostante gli italiani in un referendum avessero abolito il finanziamento dei partiti, lo hanno reintrodotto spudoratamente dopo pochi mesi chiamandolo “rimborso spese elettorali” e l’hanno addirittura aumentato del 1100 % dal 1999 al 2008. Rifondazione Comunista – per fare un esempio di “partitino” – nel 2006 spese un milione e 636mila euro per la campagna elettorale, ma ricevette ben 34 milioni 932 mila euro di rimborsi elettorali. Ecco spiegato il “tesoro” della Margherita.
«Hai voglia ad aumentare i prezzi per il cornetto alla buvette di Montecitorio – scrive Repubblica – e per il risotto al ristorante del Senato, o a limare le indennità dei parlamentari, tagliando al massimo il forfait per i portaborse, se poi restano in vita sprechi simili».
Però se protesti, subito i politici ti accusano di grillismo, di antipolitica qualunquista, e con tono sussiegoso ti ricordano che “la politica ha i suoi costi”.
Ma che cos’è la politica?
Nei secoli l’hanno definita in tanti modi: arte della mediazione – virtuosismo del compromesso – dottrina del possibile – scienza inesatta – unica professione che non richiede preparazione specifica, ma solo abilità nell’impedire che il popolo s’impicci di ciò che lo riguarda – applicazione pratica delle ideologie…
Oggi, tuttavia, chiunque abbia un minimo di cultura generale e consapevolezza storica sa che l’era delle ideologie (che a loro volta derivavano dalle divisioni dei popoli in classi e religioni) è finita.
E allora, cosa è diventata la politica? E’ diventata – almeno qui in Italia – solo più amministrazione del potere furbastra e truffaldina. Solo distribuzione (strapagata) di privilegi, agghindata di demagogia mediatica. Solo un mestiere sporco, ma redditizio. Non c’è da stupirsi se viene universalmente disprezzata.
  Basta vedere chi ci governa e chi gli si oppone: sempre gli stessi, ribolliti cialtroni intercambiabili, tenuti insieme, dopo la caduta delle maschere ideologiche, da fetide colle di bottega: interessi materiali, odi personali, ricatti reciproci, veti incrociati, invidie, avidità, furbizie tattiche, complicità losche… E soprattutto dalla “libido imperandi”,  cioè dal piacere intrinseco del potere per il potere, da esibire con tutti i suoi orpelli spagnoleschi,  dalla scorta al barbiere quasi gratis.
“U cumandari è megghiu ru futtiri” dicono calabresi e siciliani. Ma, poiché in democrazia “u cumandari” dipende dai voti, quando la sirena ideologica non incanta più i voti occorre comprarli con favori,. Lo scambio di favori. Il debito di riconoscenza. Vecchio vizio italico…
Ricordate la prima scena del “Padrino”, in cui i postulanti chiedono a Don Vito Corleone alcuni favori, consapevoli di contrarre un debito a vita di cui non sapranno mai l’entità né la scadenza? Ecco, quello. Io oggi ti faccio togliere una multa, ma domani ti potrei chiedere di testimoniare il falso in tribunale a mio favore…
E’ lo scambio equivoco in cui il sud è impantanato da sempre, e la cui cancrena è salita ormai dal piede al polpaccio, fino alla coscia e al bordo superiore dello stivale. Un esempio fra i tanti? La paura dei partiti e dei sindacati di perdere consensi in un paese fatto sempre più di vecchi, paura che ha bloccato finora ogni seria riforma delle pensioni, avviando l’Italia nel tunnel della crisi attuale, della quale non si intravede lo sbocco.
  “L’importante è difendere i voti di oggi – pensa il nostro penoso ceto politico – e al dramma di domani ci penserà chi ci succederà”. E’ ragionando in questo modo che la Pd Mercedes Bresso, detta “la zarina”, quando era governatrice del Piemonte, si fece imprestare col sistema degli swap 1856 milioni (quasi 3600 miliardi di vecchie lire!!!) nel 2006  con l’impegno di restituirne appena 56 nel 2013, e il resto (1800) nel 2036, cioè dopo 31 anni.
E se i nostri nipoti non potranno restituirli? Chi se ne frega, hanno pensato la zarina e i suoi compagni di merende del Pd. Parafrasando ciò che disse Luigi XV alla Pompadour, “après nous le déluge”. Dopo di noi venga pure il diluvio.
Ci sarebbe da scendere in piazza a reclamarne la fucilazione. Invece tutti zitti, pur sapendo che un amministratore della “res publica” che  spenda nell’oggi una cifra come quella, lasciandone il rimborso quasi totale nel dopo-dopo-dopodomani, cioè non ai figli ma addirittura ai nipoti, è un criminale e sa di esserlo.
Ben peggio di Schettino, che ha causato la morte di 40 persone per distrazione balorda, ma almeno l’ha fatto senza volerlo. Dico peggio perché, a parità di cialtronaggine e viltà, nella bomba ad orologeria della Bresso c’era la consapevolezza del danno recato agli altri, e la volontà di salvarsi dallo scoppio, posticipato a quando lei non ci sarebbe più stata, se non in vita sicuramente in politica.
Lenin disse: “Non è serio, in politica, contare sulle proprie convinzioni e sulle buone qualità dell’anima”. Era un cinico, un pragmatico, o solo un politico italiano ante litteram?
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2 risposte a Campioni di schettinaggio

  1. Marcot ha detto:

    Nel 2036 avrò 69 anni e mi mancheranno circa 12 mesi alla pensione, salvo che il primo ministro dell’epoca non decida di aumentare il periodo lavorativo di altri 5 anni, in modo da aiutare il Piemonte ad estinguere il suo debito stipuilato trent’anni prima. La notizia mi rallegrerà molto perchè così avro la possibilità di continuare a matenere le mie filglie, in quanto da sempre precarie ma non annoiate, costrette a cambiar lavoro ogni 3 mesi. L’unico problema è che nessuno si ricorderà chi e perchè aveva stipulato un così grande debito per la regione. “Il nome aveva a che fare con le auto? … sarà stata di sicuro la Fiat!”

  2. Pingosss ha detto:

    Il bello è che la vicenda di cui ti occupi dovrebbe finire sul tavolo della Procura Regionale presso la Corte dei conti, l’organo di rango costituzionale che dai tempi di Cavour vigile sull’impiego del patrimonio pubblico.
    Secondo quanto tu scrivi (<>), Bresso e zecche circonvicine sarebbero condannati dalla Corte a risarcire la Regione del danno da essi dolosamente (<>) arrecato.
    Riusciremo mai – tu, io, i numerosi amici che ti leggono qui e su fb – a dare la spinta a una denuncia alla suddetta Procura Regionale? Un’azione che affondi realmente le radici nella “soccietà ccivile” e che faccia balenare a mascalzoni passati, presenti e futuri la gelida sensazione della lama di baionetta lungo il solco della schiena?

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