Archivi del mese: Maggio 2008

Tu pensoso, in disparte, il tutto miri

Nessuno nega che Ceronetti sia, oltre che un esimio studioso della Bibbia, un uomo originale, coltissimo e soprattutto un artista geniale. Purtroppo le personalità egocentriche e afflitte da eccessiva autostima come lui, da vecchie, diventano stizzose e cupe, parendo loro ingiusto dover lasciare il proprio posto sul pianeta a tanti idioti. Vanno in depressione, e scrivono che la Terra «sta diventando un lager», popolata com’è da «otto miliardi di parlanti senza un linguaggio, per i quali vale il dubbio straziante: se questo è un uomo». Urge Prozac, caro Guido. Anche ai tempi del Leopardi, se nella farmacia di Recanati ci fosse stato quel magico antidepressivo (e anche, diciamolo, se il conte Monaldo fosse stato più aldo e meno mona), Giacomo avrebbe vissuto meglio, e Silvia avrebbe potuto apprezzare un volatile diverso dal passero solitario.

Ceronetti dichiara che ormai concede solo venti pagine ad un libro prima di decidere se leggerlo o buttarlo, perchè gli resta troppo poco tempo da vivere per poterlo sprecare su libri che non gli arricchiscano l’anima. E fin qui, passi. Ma trovo buffa (per un “magister laevitatis” come è stato lui) l’angosciata denuncia, tipica dei vecchi paranoici, dell’eccessiva frettolosità dei funerali («non vorrei che mi seppellissero vivo»). Per non parlare dei suoi sfoghi misogini, almeno strambi («lo spreco d’acqua planetario è colpa delle donne»). I suoi scritti grondano sempre più di “laudationes temporis acti” condite di catastrofismo e segnate da un profondo disprezzo per l’umanità in genere, e per i giovani in particolare.

Ma non è mica colpa dei giovani se dopo il ’68 la sinistra ha preso il potere nelle scuole e nelle università, e all’insegna del lassismo disciplinare e del facilismo antimeritocratico li ha culturalmente piallati nella speranza di accattivarsene le simpatie elettorali. Non è mica colpa loro se due generazioni di genitori (ormai quasi tre…) hanno abdicato al ruolo scomodo di educatori dei figli, delegandolo alla televisione, ad Internet e ad una pubblica istruzione sempre più sgangherata. Che ne possono, i ragazzi, se i loro padri e nonni, dopo aver fatto “tabula rasa” di ogni regola, non li aiutano (o non sanno più come fare ad aiutarli) ad orientarsi?

Speranze e cori, per dirla con Leopardi, son gli stessi di sempre. Non sapranno parlare forbito, i ragazzi d’oggi, ma chattano e si scambiano sms in piena libertà. Comunicano. Nel “tempus actum” così caro a Ceronetti, invece, si andava avanti a bigliettini, segnali, speranze ed intuizioni, e nei rari colloqui a tu per tu, dato e non concesso che ci si esprimesse in modo più corretto e profondo di oggi, si doveva comunque fare molta attenzione a chi ascoltava o vedeva, altrimenti in un amen ci si poteva trovare alla gogna sociale, se non addirittura in galera, all’ospedale, in manicomio, in convento… No, no, meglio oggi, secondo me. E poi comunque non ha senso porsi il problema, caro Guido: un saggio come te dovrebbe ben saperlo che più la festa è bella, più girano le balle a chi se ne deve andare, per cui sovente costui dice, per non farsele girare troppo, che la festa s’era ammosciata, che i nuovi arrivati erano impresentabili, e lui non si divertiva più. Un classico.

 

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Chi calamita le calamità?

E ti pareva. Piove su tutto il nord e particolarmente sul nordovest, qualche fiume esonda, i pendii franano qua e là e, puntuale, scatta l’allarme della Protezione Civile (della serie “non si dica mai che non vi avevamo avvisati”) mentre i sindaci si affrettano a chiedere lo “stato di calamità” e chiudono le scuole (della serie “per il principio di precauzione, meno gente c’è in giro meglio è, e poi più si enfatizzano le alluvioni più è facile che arrivino da Roma i miliardi in aiuti ed esenzioni) mentre i tuttologi dei Tg e della carta stampata nei loro commenti cosa fanno? Ma è ovvio: denunciano sdegnati il “dissesto idrogeologico italiano”, parola d’ordine che scatta alla prima frana come “disagio giovanile” al primo delitto di minore e “condizionamento psicologico” al primo errore arbitrale.

E’ un po’ la stessa storia degli incendi boschivi che impazzano d’estate (ma anche d’inverno, se è molto secco) in presenza di vento forte: nella definizione dei media sono sempre “dolosi”, per antonomasia. Mai colposi e dovuti, che so, a una cicca volata dal finestrino, o a una scintilla scappata al barbeçue. No. Sicuramente appiccati da una diabolica gang di piromani che agisce solo con la siccità e il maestrale, e col tempo normale se ne sta chiusa incasa a bruciar pacchi di fiammiferi Minerva per sedare l’astinenza.

Eppure basterebbe osservare attentamente il suolo delle nostre vallate: ovunque si vedono massi sparpagliati, segni d’antiche frane, e imponenti conoidi di deiezione. Appena si gratta via lo strato superficiale di humus affiorano distese di ghiaioni alluvionali, testimoni di esondazioni vecchie di secoli, avvenute quando persino le malghe più isolate erano abitate (anche d’inverno), e i prati erano falciati, le bialere pulite, le mulattiere ben battute e i boschi tutti potati e rastrellati perché ci si scaldava a legna.

A proposito di boschi spettinati e rinselvatichiti, bisognerebbe almeno consentire a chiunque di raccoglier legna e altri rifiuti nei letti dei fiumi in magra, invece di stangare con multe milionarie chi s’azzarda a portare a casa due rami secchi per la stufa. I ponti crollano, ma quasi sempre non succede per la violenza della corrente in sé, bensì per via del “tappo” che arbusti, detriti e rami secchi formano contro i piloni. Però la cosa poco importa, perché la responsabilità del “clima impazzito” e della “tropicalizzazione del nord Italia” verrà sempre e comunque appioppata all’effetto serra e a quei bastardi di americani che non vogliono firmare il protocollo di Kyoto. Se crollano i ponti, è colpa loro. Di di quei lupacci che hanno fatto fuori l’agnellino Saddam solo per fregargli il petrolio, e intanto boicottano gli studi sul motore a idrogeno e sulla fusione fredda per favorire i loro pozzi texani.

Poi capita che affonda una petroliera greca piena zeppa di grezzo russo e inquina chilometri di coste. Allora uno si butta in rete ad indagare sul problema della fragilità delle petroliere, e cosa scopre? Che gli unici a vietare l’attracco alle navi-cisterna senza doppio scafo sono loro, gli americani. Maledetti yankees, dov’è il trucco?

 

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Altro che venticello, la calunnia è un tornado

“L’insistenza e la forza  – scrive FamigliaCristiana – con cui Benedetto XVI, già da cardinale e ora da Papa, ha condannato i preti pedofili, ha cambiato radicalmente il modo con cui questa “vergogna” era affrontata in passato. Per paura di scandalizzare i fedeli e per timore che perdessero la fiducia nei loro preti, si tendeva a coprirli col silenzio o a non dedicargli un’attenzione specifica. I superiori intervenivano con rimproveri o trasferendo i colpevoli ad altre sedi o ad altri incarichi, pensando – con molta ingenuità – che un trasferimento bastasse a sanare la situazione. Non si accorgevano che si spostava il “male”, togliendolo da una parte e trapiantandolo altrove”.

Apro qui una breve parentesi filologica per protestare contro il termine “pedofilia” oggi usato per indicare quella che un tempo, con maggiore correttezza etimologica, era chiamata “pederastia”. Perché, fermo restante il “ped” (che deriva dal greco antico “pais-paidòs” = fanciullo), un conto è la “filìa” (dal greco “filos” = amico) e un altro conto è la “erastìa” (dal greco “erastès” = amante carnale). Io sono un cinofilo perché mi piacciono i cani, e magari li accarezzo anche volentieri, ma mica me li trombo. Chiamiamo le cose come vanno chiamate, e smettiamola una buona volta con gli stucchevoli eufemismi come “operatore ecologico” invece di spazzino o “paramedico” invece di infermiere.

Chiusa la parentesi e prestata tutta l’attenzione dovuta ai casi di vera pederastia, ecclesiastica o laica che sia, parliamo piuttosto di falsa pederastia, o meglio di “pederastia da calunnia”. Ricordo due casi del recente passato. Quello di un padre accusato di pederastia dall’ex-moglie il quale, pur essendo stato assolto in primo grado, non poteva stare accanto al figlio leucemico perché lei aveva fatto ricorso in appello e non ha permesso contatti fino alla sentenza di cassazione, favorevole all’uomo, ma giunta troppo tardi: il bambino nel frattempo era morto. L’altro caso (analogo, ma meno tragico) riguardava una bimba contesa dalla moglie vendicativa che aveva accusato falsamente l’ex-marito di aver insidiato sessualmente la figlia. Per fortuna qui non c’erano stati i tre gradi di giudizio, e tutto si era risolto.

Ma il vero guaio è che in casi come questi (e ce ne sono tanti) il Tribunale dei minori non può che sospendere il padre dalle sue funzioni fintanto che dura l’inchiesta. Mesi, a volte anni, durante i quali i piccoli patiscono per la separazione dal papà (e viceversa…), ma soffrono ancor di più per le domande scabrose di assistenti sociali, periti, avvocati, giudici, psichiatri, tutta gente che per fare bene il suo lavoro deve frugare in una ferita immaginaria che all’inizio non c’é, ma col tempo rischia di aprirsi per davvero.

La donna è tremenda, nella vendetta. Finché, tradita, martella il pupo coi suoi lagnosi “papà fa il maiale con le altre donne perché non ti vuol bene, e spende tutti i soldi per sé” (il che, anche se fosse vero, andrebbe nascosto ai bambini), passi. Ma la falsa accusa di pederastia è una roba da belve. E’ peggio della violenza sessuale inventata, trucco al quale ormai ricorrono con allarmante facilità le ragazze scappate di casa o quelle che vogliono giustificare inopinati cedimenti, senza curarsi dell’onta che rimane addosso agli accusati, anche dopo il loro proscioglimento.

Proprio per poter essere inflessibili con i veri pederasti, pubblicandone la foto a futura memoria (sono dei malati che quasi sempre, appena liberi, ci ricascano) è bene esserlo altrettanto con chi approfitta della psicosi generale per accusare falsamente del turpe vizio un nemico. Dovrebbe andare in galera, il responsabile di queste accuse mendaci, ma non per i pochi mesi previsti dal codice per il reato di calunnia: per tutti gli anni che la sua menzogna ha fatto rischiare all’assolto.

 

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Tastiera rossa la trionferà

Ennesimo articolo ecocatastrofista sul sito di Jacopo Fo: “Ormai è chiaro che dentro i giornali italiani si combatte una battaglia durissima tra i direttori e un pugno di giornalisti che si rifiutano di tacere”. Fin dall’incipit si nota il piglio paranoide tipico dei cocomeri, che vedono congiure, censure e “cover-up” dappertutto, dimenticando che gli unici paesi in cui ciò succede per davvero sono quelli comunisti, oggi come ieri.

“Così – prosegue Fo Junior – alcune notizie bomba finalmente vengono pubblicate. Non in prima pagina, non con titoli a 9 colonne (come vorrebbe lui…), non correlate da interviste e commenti. Però escono. Ad esempio sul Venerdì di Repubblica del 16 maggio c’è un grande pezzo di sintesi giornalistica, probabilmente contrattato parola per parola in riunioni infuocate dei caporedattori, oppure sfuggito per errore alla penna rossa dei censori (riecco il taglio paranoide…), ma alla fine uscito perchè protetto dalla Divina Provvidenza in persona (ohibò, Jacopo da Todt si converte in Jacopone da Todi…), è lì nero su bianco, e ci dice che 435 ricerche scientifiche internazionali provano un aumento di tumori e nascite malformi spaventoso in prossimità dei termovalorizzatori. Ecco il testo integrale: «Nelle popolazioni che vivono in prossimità di impianti di incenerimento dei rifiuti è stato riscontrato un aumento dei casi di cancro dal 6 al 20%. Lo dice una ricerca resa pubblica dall’istituto statale di sorveglianza sanitaria francese, ultima di 435 consultabili presso la biblioteca scientifica internazionale Pub Med, che rilevano danni alla salute causati dai termovalorizzatori per le loro emissioni di diossina, prodotta dalla combustione della plastica insieme ad altri materiali. Questa molecola deve la sua micidiale azione alla capacità di concentrarsi negli organismi viventi e di penetrare nelle cellule, dove va a “inceppare” uno dei principali meccanismi di controllo del Dna, scatenando le alterazioni dei geni che poi portano il cancro e le malformazioni neonatali.»

Segue il solito, accorato appello ecoparanoico: “Fate girare questa notizia e ripubblicatela sui vostri siti. Se riusciamo a far sapere a molti italiani come funziona questo giochetto dell’informazione omogenizzata, potremmo creare qualche problema ai signori dei giornali”. Direte: fa bene, Jacopo, a tener d’occhio certi problemi spinosi. Rispondo: certo. Ma dipende da “come” lo fa. Dai tempi del “Vajont da amianto” previsto dai No Tav valsusini in poi, mi sono documentato a fondo sui temi ecologici e climatici, traendone più dubbi che certezze. Però ho notato che:

1) Esistono opinioni controverse su quasi tutti i temi scientifici, e per valutarne l’attendibilità non servono i titoli accademici né il prestigio cattedratico di chi le ha espresse. Ricordatevi la frode del cosiddetto”Uomo di Piltdown”, il più grande bidone scientifico della storia. Il reperto “fossile” (una calotta cranica e una mandibola), dissotterrato nel 1912 nel Sussex, fu battezzato “Eoanthropus dawsoni” dal nome di Charles Dawson, lo scopritore, e per 40 anni fu ritenuto dai più illustri paleo-antropologi mondiali il famoso “anello mancante” tra umani e primati. Nel 1952, però, la datazione al carbonio dimostrò che il cranio aveva solo 600 anni, e la mandibola era di un orango, coi denti limati e ‘aggiustati’. Non era stato un errore, insomma, bensì un falso consapevole: tutti i frammenti ‘fossili’ trovati a Piltdown (tra cui una presunta ‘mazza da cricket’ preistorica) erano stati sotterrati lì apposta. Conclusione: se è potuta succedere una roba simile, si comprende come mai per l’ecotalebano-tipo, ogni studioso che sostiene le sue teorie paranoiche è sempre un coraggiosissimo (perché osa ergersi contro la ‘spectre’ delle multinazionali avvelenamondo), e preparatissimo (perché gli dà ragione) scienziato, uno degno del Nobel. Viceversa, lo studioso che gli dà torto è invariabilmente un sorpassato, un ambizioso che mente per farsi notare dai media cantando fuori dal coro, un venduto alla ‘spectre’ privo di credibilità.

2) Anche se studi e statistiche sono veri, il modo di presentarli si presta a molti trucchetti. L’articolo cui inneggia Fo («Lo dice una ricerca, resa pubblica dall’istituto statale di sorveglianza sanitaria francese, l’ultima delle 435 consultabili presso la biblioteca scientifica internazionale Pub Med») induce a pensare che tutte le altre 434 ricerche siano giunte alla stessa conclusione. Ma non è così. E inoltre non si dice chi le ha condotte, con quali fondi, né quante sono state quelle discordi… Quanto alla ‘biblioteca Pub Med’, chi la gestisce, chi la finanzia, con quali criteri sceglie i testi consultabili sul suo sito? Perché, voglio dire, se vado nella biblioteca di Legambiente (supposto che ne abbiano una), difficilmente troverò un testo contrario alla tesi del global warming.

3) Non basta scrivere che «Nelle popolazioni che vivono in prossimità di impianti di incenerimento dei rifiuti è stato riscontrato un aumento dei casi di cancro dal 6 al 20%». Cosa s’intende per “prossimità”? Un raggio di 1, 10, 50 km? Se poi si parla di aumento dei casi di cancro (e di quale tipo?) in percentuale, bisogna premettere quanti se ne registravano prima della costruzione dell’inceneritore. Perché se prima si è ammalata, poniamo, una persona su mille, e dopo se ne sono ammalate tre, si può anche strillare che “i casi di cancro sono triplicati”, seminando il panico, ma i casi restano sempre solo 3 su 1000, cioè un’incidenza nella norma. Bisogna riferire anche di quanto è cresciuta (percentualmente)  l’insorgenza dei tumori, nello stesso periodo, altrove. Infine occorre poter provare senza ombra di dubbio che l’insorgenza del cancro è legata alla presenza dell’inceneritore, e non ad altri fattori come tralicci, antenne, acque inquinate, cibi tossici, fumo di tabacco, smog da traffico, ecc. Il nesso causa-effetto è il punto debole degli ecocatastrofisti e degli statistici in genere, che dovrebbero limitarsi a contare, e invece sui numeri “ragionano” e traggono deduzioni. Per spiegare questo concetto, cito sempre il “paradosso del letto”: poiché il 90% dell’umanità muore nel letto, se ne può dedurre che il letto sia un pericolo mortale?

4) In Europa erano già in funzione sei anni fa 354 inceneritori, sparsi in 18 paesi. Oggi gli impianti sono molti di più, ed è previsto che entro il 2012 (fra soli 4 anni) superino le 500 unità. A questo punto la domanda è: ma sono tutti scemi gli europei? Tutti sadomasochisti? Tutti cinici assassini? Possibile che i politici, gli scienziati, i giornalisti di 25 paesi siano tutti corrotti, tutti pagati dalle ecomafie? Forse gli inceneritori comporteranno qualche danno collaterale, dico mica di no, ma il caso Napoli dimostra che il gioco vale la candela, anche perché non c’è attività umana che non ne comporti. Ogni lavoro, hobby, sport, cibo, bevanda, atto sessuale, bacio è potenzialmente mortale.

5) Nessuno rinfaccia mai agli ecocatastrofisti che l’unica cosa davvero pericolosa, quella che provoca sul serio gravi danni psicofisici (ipercolesterolemia da ansia, infarti ed ictus ad essa collegati, nevrosi debilitanti, depressione acuta, malattie psicosomatiche, psoriasi, asma, ulcere gastriche, coliti nervose e via elencando…) è la paura. Quella fottuta paura che i cocomeri inculcano nella gente semplice coi loro continui “al lupo al lupo. Quella paura che, se non ci farà ammalare tutti, ci fa comunque vivere male. Così male che un bel giorno qualcuno si ribellerà e dirà a Grillo: “Ma vacci tu, affanculo!” 

 

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E con lo zigo zago l'han butame 'n mago

Tempi duri per i maghi. Un infermiere di Rio che si faceva passare per tale nel guarire i bambini, è stato condannato a 110 anni per averne involontariamente uccisi quattro. Il suo ‘modus operandi’ era semplice: prima iniettava di nascosto ai piccoli pazienti dosi pericolose di sedativi, barbiturici e inibitori cardiaci o muscolari, e dopo il loro brusco peggioramento era pronto a salvarli con l’antidoto giusto. Purtroppo in quattro occasioni, vuoi che abbia sbagliato le dosi dei veleni, vuoi che abbia iniettato in ritardo l’antidoto per il prolungarsi della trattativa economica coi genitori disperati, non è più riuscito a recuperarli. Severo, però, il Brasile: 110 anni diviso 4, fa 27 anni e mezzo per bambino ammazzato senza volerlo. Se lo faceva in Italia (magari a Cogne) risparmiava 40 anni.

Il fatto è che il mestiere di mago continua a rendere, anche in quest’epoca di ampia divulgazione scientifica e conseguente calo della superstizione. Ma i creduloni, per quanto in calo, restano sempre una miniera d’oro: a Vanna Marchi (che “lavorava” con il mago brasiliano Do Nascimiento) hanno attribuito un ‘bottino’ di oltre 100 miliardi di lire. Alla maga Ester più di 60. Ecco perché il mestiere di occultista fa gola a schiere sempre più folte di cialtroni. Non ci vuole neppure il patentino, oggi richiesto persino alla categoria più affine, per trucchi, avidità e guadagni, agli stregoni, cioè i procuratori dei calciatori. Per diventare procuratore si deve passare un duro esame orale (ce n’è uno all’anno, e all’ultimo han promosso solo 15 candidati su 900), a cui accede solo chi ha superato lo scritto.

Ai fattucchieri, invece, è sufficiente avere un’infarinatura di astrologia, cartomanzia, parapsicologia, e una superba faccia di tolla. E’ un’attività che si può fare anche in casa, basta arredare come ‘studio’ una stanza in modo molto pacchiano, con teschi, alambicchi, sfere di cristallo, uccelli impagliati e tanti libri (un po’ come i primi set di Piero Angela, ricordate?), però bisogna investire molto in pubblicità. E a volte non basta neanche, perché c’è sempre chi, per farsi notare, mena colpi bassi.

L’ultimo esempio viene dall’america. HillaryClinton ha praticamente perso la sua gara con Obama, ma di un pelo. Bene. Vuoi vedere che, puritani come sono gli yankees, si tratta di un pelo pubico? Perché la maga Sarah Hayes, che ‘lavora’ a Denver, ha detto di aver “visto” nella sua sfera di cristallo che Bill Clinton (quello che, saltando gli scritti, ammetteva le stagiste direttamente agli orali) è stato cornificato dalla consorte ben prima dell’ «affaire»Lewinsky. Niente ‘pan per focaccia’, insomma: stando alla maga di Denver Hillary aveva una tresca amorosa con un attore di Hollywood da molto tempo prima che Monica arrivasse alla Casa Bianca.

Fa un po’ sorridere che gli americani nel 2008 si affidino alla sfera di cristallo per sapere le faccende segrete dei loro governanti, ma vista l’efficacia della CIA e dell’ FBI nel prevedere l’11 settembre, la cosa è comprensibile. Naturalmente si è subito scatenata la caccia al nome del misterioso amante, che la maga non conosce perché “la visione paragnostica era confusa”. Peccato che abbia detto ‘attore’ e non ‘tenore’, se no, data l’età e l’avvenenza di Hillary, un nome io l’avrei: Andrea Bocelli.

 

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Risposte ai vili anonimi

Mi piacerebbe rispondere a delle persone, e non a dei fantasmi ‘d San Damian (coi ch’a tiro la pera e a scondo la man) che si riparano sempre dietro l’anonimato. In fondo io nei miei post ci metto la firma e la faccia, oltre all’indirizzo. Comunque, stavolta rispondo lo stesso. Avevo cominciato la mia replica nel reparto “commenti” (dove manca, e non so per quale motivo non riesco a farlo apparire, il commento anonimo n.1 che mi dice: “Tolleranza zero che provocherà vittime? Ma che cazzo stai dicendo? Nazista!”) per controbattere al commento anonimo n.2 che dice: “Un po’ apocalittico, non trova? E poi, è possibile che tutto, ma proprio tutto sia sempre colpa della sinistra?”. Purtroppo la mia argomentazione è diventata sempre più lunga e articolata man mano che la scrivevo, così ho deciso (tanto è sabato…) di farne un post.

Allora, partiamo. Al signor n.1 dico: “Aspetta e vedrai”. Già solo le notizie Tv di stamattina sui disordini scoppiati in Campania dopo l’annuncio ufficiale dei siti sono tuoni e lampi che rivelano ben vicina e ben lunga la tempesta. Quanto al tuo darmi del ‘nazista’, non potrebbe fregarmene di meno. Gli insulti dei nazicomunisti fanatici sono un fiore all’occhiello per qualsiasi libero pensatore. Al signor n.2 rispondo che io non ho mai detto né lasciato intendere che “tutto, ma proprio tutto sia sempre colpa della sinistra”. La destra italiana ha le sue colpe in molte cose: la corruzione della pubblica amministrazione, ad esempio. Essa è del tutto trasversale, politicamente, ma con la netta prevalenza della più deteriore destra affaristico-massona. Da essa hanno tratto origine molte piaghe come l’abusivismo edilizio, l’evasione fiscale sistematica, l’economia sommersa, il lavoro nero, la devastazione urbanistica e ambientale del nostro (ex) ‘bel paese’, la malasanità (specie al sud), le ecomafie, eccetera. Anche la mercificazione dei valori e la spinta verso un edonismo frenetico “usa e getta” costantemente esercitata dalla pubblicità (basta vedere gli spot dei profumi, o delle auto, o persino degli yoghurt “fai l’amore con il sapore”…) sono imputabili ad una destra trafficona e furbastra (che però, proprio perché è furbastra, si dichiara di sinistra come Krizia).

La sinistra vera, però, la ‘storica’ sinistra d’apparato del Pci (con tutte le sue successive livree, con i suoi sindacati-cinghia di trasmissione e con tutti i suoi partitini satelliti e movimenti fondamentalisti via via staccatisi, imbarazzanti per l’immagine ma utili nella lotta di piazza e nel lavoro sporco), la sinistra che si esprime sul giornale fondato da Gramsci, la sinistra che ha messo in pratica con successo il dettato gramsciano “se vuoi dominare un paese, impadronisciti della sua cultura”, questa sinistra ha l’enorme colpa di aver adottato (dal dopoguerra in poi, e soprattutto coi giovani, nel proposito di farne futuri suoi adepti) il comportamento permissivo e lassista che io chiamo “della zia meridionale in visita”.

La zia meridionale in visita è quella che, quando viene su dal sud a trovare il fratello (carica di leccornie e regalini) e trova i figli di lui in castigo, glie lo fa togliere. Quella che al momento di mandare i bimbi a nanna intercede perché restino in sala a blamblinare. Quella che, se i nipoti fanno casino e vengono ripresi, li difende: “làssali fà, so’ piccirilli!”. Quella che di fronte al diniego materno di un dolce fuori pasto ai pargoli dice alla cognata: “ma dài, cosa vuoi che gli facciano due o tre cannoli?”. Quella che è adorata dai nipoti solo per questo (e lo sa), ma le sta bene, anzi, lo fa apposta, fregandosene delle conseguenze. Tanto lei riparte (e sta giù per mesi a farsi i cazzi suoi) lasciando le rogne al fratello e alla cognata, sotto forma di maggiore tendenza dei figli a ribellarsi, maggiore fatica ad imporre le regole e mantenere la disciplina in famiglia, maggiori incomprensioni, tensioni e scollature affettive. Però lei, l’amata zietta, rimane l’idolo dei nipoti, che aspettano sempre e con impazienza il suo ritorno.

Ecco, la sinistra italiana ha cinicamente, consapevolmente, strategicamente fatto la “zia in visita”, per 60 anni. Nella scuola e nelle fabbriche. Nei suoi media e nei suoi ‘circenses’ (dalle pièces di Fo al cabaret di regime, alle feste dell’Unità…). Ha fatto credere ai giovani che tutto è lecito, che la colpa di ogni sbaglio è sempre “a monte”, sempre scaricabile su qualcun altro o su qualche situazione preesistente (la miseria, la società ingiusta ed egoista, le diseguaglianze, le cattive compagnie, la solitudine, l’emarginazione…), e che nella vita ci sono solo diritti, mai doveri. Diritto alle promozioni scolastiche facili fino alla laurea (che per questo si è penosamente svalutata…), diritto al lavoro blando e fisso fino alla pensione (che presto lo Stato non potrà più pagare…), diritto alla casa gratis (o ad affitto ridicolo, anche per chi ha la Bmw in cortile…), diritto al dissenso violento ed impunito (con blocchi, devastazioni, occupazioni, pestaggi degli avversari politici…), eccetera.

Dopo 60 anni di questa musica, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. A Napoli sono solo più evidenti, ma in termini d’immagine il danno lo pagherà (e per molto tempo) la nazione intera. Da quando (14 anni fa!) è iniziata questa cronica “emergenza” (notato l’ossimoro?) dei rifiuti in Campania, sono stati divorati 4mila miliardi di lire, ma la situazione non è migliorata. Anzi, è peggiorata, senza che i “due lino” (la sindaca Jervo e il governatore Basso, rinviato a giudizio dalla Procura di Napoli) si sognino di dimettersi. E sono di sinistra, costoro. Veltroni aveva Bassolino al suo fianco, durante la campagna elettorale, sul palco di Piazza Plebiscito, e lo ha più volte elogiato. Basta così, o devo andare avanti?

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Se a Napoli ci scappa il morto

Vedere ad “Anno zero” i filmati da Chiaiano con la gente in strada che minacciava sfracelli se si fosse fatta la discarica nella loro cava (esempio perfetto di ‘sindrome nimby’), anzi, vedere che si erano già ‘portati avanti coi lavori’ barricando con macerie, massi ed alberi abbattuti l’unica strada della cava, faceva capire che siamo sull’orlo di una guerra civile. Con l’esercito in armi a presidiare i siti ed a scortare i camion, prima o poi il morto ci scappa, e può innescare un crescendo di violenze (attentati, bombe, sequestri, devastazioni) da stato d’assedio e sospensione dei diritti costituzionali.

E’ questo il risultato di 60 anni di sconsiderata gestione delle folle da parte della sinistra. E’ dal dopoguerra che i rossi ‘lottano’ così: manipolando con la violenza di pochi le adunate e le assemblee nelle fabbriche, nelle università, nelle scuole, nelle piazze… Ora l’arma gli è scappata di mano. Da Scanzano a Montecorvino, dalla Valsusa a Vicenza, i facinorosi hanno capito che a far casino si vince, che ci si può opporre con metodi violenti ed illegali a qualsiasi decisione amministrativa, basta essere in più di un centinaio. L’hanno capito vedendo i governi tollerare per decenni i picchettaggi violenti, i blocchi stradali e ferroviari puntualmente scattati ad ogni vertenza sindacale, le “giornate di lotta” come il G8 di Genova, dove armi e bastoni dei ‘casseurs’ furono portati in camion da Torino (è stato filmato) da un centro sociale foraggiato dal Comune.

Chi ha seminato vento, raccoglie tempesta. Ciò riguarda anche i cocomeri, gli ecoterroristi (verdi fuori e rossi dentro) che da decenni spaventano la gente con previsioni apocalittiche, convegni allarmanti e dati manipolati. Bisognava vedere come quella popolana di Chiaiano, pur incapace di esprimersi in italiano corretto, sapeva urlare in Tv le ‘parole d’ordine’ dei cocomeri: impatto ambientale, ecosostenibilità, falda acquifera sottostante…. Mica sapeva, lei, che le falde sono dovunque, altrimenti non si scaverebbero pozzi da millenni. Così la normale presenza di una falda e il suo (ipotetico, futuribile, e in ogni caso rimediabile con depurazioni) inquinamento erano motivo bastante per farle urlare in Tv “accà  ‘a discarreca nun se fà”. Poi, come se invece di monnezza parlasse di antrace, aggiungeva ”ma ‘o vulite capì che ‘a cava sta solo a mille metri da ‘o balcone mio?”. A me veniva in mente la discarica torinese di Via Germagnano, tuttora aperta, che dista duecento metri dai palazzi più vicini…

Berlusconi dovrà fare i conti con quest’arma della “mobilitazione dura”, sfuggita ai rossi d’apparato e subito afferrata dai “disobbedienti” autonomi. Se il suo governo continuerà a trattare, a “fare tavoli”, ad “ascoltare la base”, ad annacquare o rinviare le “decisioni che non si possono imporre dall’alto”, a subire tacendo gli slogan rivoltosi (“l’è dura… ci avìte da accìde”…), non caverà il ragno dell’ingovernabilità dal buco del muro leninista. Le piaghe che affliggono l’Italia (sindacati troppo ricchi e potenti, forze dell’ordine irrise ed umiliate, giustizia-barzelletta, politici e boiardi di Stato inetti, corrotti e strapagati, parassiti e furbi annidati in ogni ceto, buonismo ipocrita che spalanca le porte agli immigrati, criminalità dilagante…) sono curabili solo più chirurgicamente. E dove si usa il bisturi c’è sangue. O ci prepariamo ad una (verace, non solo proclamata a parole) tolleranza zero, e alle vittime che inevitabilmente essa provocherà, ritenendole un “effetto collaterale” (e non martiri a cui dedicare sale in Parlamento come Prodi ha fatto con Giuliani), o facciamo una brutta, brutta fine.

 

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Peccatucci di goletta

La ‘Foundation for Environmental Education’ (FEE) ha assegnato alla costa adriatica abruzzese 14 Bandiere Blu. “Facile trovare il mare pulito quando non ci sono ancora i bagnanti” ribattono piccati quelli di Legambiente, che con la loro “goletta verde” assegnano le “vele blu” e saranno da quelle parti solo nella seconda metà di luglio. Queste associazioni ambientaliste, vere idrovore di finanziamenti pubblici e privati, si combattono fra loro come le guide enogastronomiche. La Guida Michelin assegna le stelle ai ristoranti? Gambero Rosso risponde con le forchette e i gamberi, la Guida dell’Espresso incalza con i cappelli, Slow Food aggiudica le chiocciole, e via sbizzarrendosi coi simboli. Ma chissà se su bandiere e vele blu grava lo stesso sospetto che inquina la credibilità delle guide enogastronomiche, e cioè che i giudizi degli “ispettori” siano più o meno “influenzabili” con regalie, inserzioni pubblicitarie a pagamento e sostanziosi “contributi editoriali”…

Anni fa un ispettore ministeriale incaricato di verificare l’efficienza dei  depuratori in giro per l’Italia mi confidò che a riceverlo c’era sempre una delegazione di autorità locali che lo affidava ad una bella hostess (Moggi gli avrebbe fornito anche l’interprete…), dopo di che passava tre giorni fra pranzi, cene, feste e visite alle bellezze locali. Controllava, sì, anche il depuratore, ma il punto era di non calcare la mano nella relazione, perché si sa, qualche magagna c’è sempre… d’altra parte… lei capisce… con l’ondata estiva del turismo balneare… Sono più o meno le stesse giustificazioni fornite alla Goletta Verde dalle autorità della Costa Smeralda (10.000 abitanti d’inverno… 1.270.000 d’estate…). 

D’altronde Legambiente attesta come mare fra i più puliti quello ligure, mentre io ricordo bene lo stronzo che lo scorso ferragosto, nuotando a Laigueglia, per poco non inghiottivo. Certo, era colpa dei saccopelisti: chi dorme in una spiaggia priva di servizi è facile che al mattino i suoi bisogni li faccia in mare. Sono storie simili a quella dei ravers che hanno riempito d’immondizia la conca della Maddalena, o dei bagnanti che rubavano la rena al quarzo di Is Arutas o la sabbia rosa di Budelli, o dei turisti che stavano quasi smontando il Partenone a forza di rubarne pezzetti per ricordo…

Tutti vediamo i graffiti e le firme che lordano i monumenti e persino i siti più inaccessibili come le vette alpine. Tutti siamo rassegnati a trovare i cessi pubblici in condizioni pietose. Perché noi italiani saremo un popolo di santi, poeti e navigatori, ma ci piace fare sempre ed ovunque il nostro comodo. E così va a finire che dobbiamo veramente calarci in quei tre ruoli. Fare i santi per sopportare la maleducazione altrui (della nostra non ci accorgiamo mai…), i poeti per commuoverci egualmente di fronte a panorami devastati, e i navigatori per dribblare gli stronzi che galleggiano.

 

 

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Mai più re di latta

L’anziano è come un albero spoglio in inverno: non dà più cibo coi suoi frutti né riparo con le sue foglie, ma permette di vedere il cielo fra i suoi rami. Se dell’infanzia e della gioventù oggi mi mancano soprattutto le risate, capisco solo adesso che allora mi mancava, fra quanto oggi mi rasserena, proprio il guardare in alto. Perché allora marciavo sempre con lo sguardo “altezza-tette”, frugando negli occhi altrui per captare taciti assensi in quelli femminili e possibili minacce in quelli maschili. Ora invece che sono attempato, il naso mi s’innalza, punta verso le nubi e porta su il mio sguardo ad inquadrare cieli colorati e mutanti, balconi fioriti e visi dietro tende, e ringhiere liberty, portici che si perdono in fughe d’arcate verso l’orizzonte e viali e rami carichi d’uccelli. Il cuore spazia.

Ah, noi torinesi! Col nostro reticolo romano, i nostri larghi corsi, i nostri incroci ortogonali, acquistiamo crescendo, senza neanche averne consapevolezza, un’attitudine all’ordine che nasce dalla disciplina delle prospettive che ci circondano e si fa chiarezza di pensiero, misura d’aperture e rettitudine d’intenti, pur nel riserbo apparente e pieno di sorprese del nostro più intimo carattere. Se solo i forestieri capissero che la nostra presunta superbia è solo specchio di una calma interiore che sa vivere del suo, che non ha bisogno di prevaricare, di sguaiare, d’inventarsi nemici per aver la scusa d’esibirsi in armi!

Ci manca il medioevo, è vero. Siamo passati di colpo dall’anonimato di un borgo contadino al trionfo del barocco. Prima che i duchi di Savoia spostassero qui la capitale da Chambéry, Torino era meno importante e meno grande di Chieri. Ma in cambio ci siamo ritrovati d’un tratto cittadini senza tirocinio da servi della gleba, soldati senza passato da mercenari, artigiani senza vincoli corporativi secolari e quindi pronti al balzo nell’industria, scienziati e pensatori freschi, nati già affrancati dai tributi fin lì pretesi altrove da chiese sospettose e parrucche accademiche, sudditi fedeli ma non maliziosi, eleganti come cittadini ma poco adatti come cortigiani.

Infatti i nostri re (di relativamente ‘fresca’ regalità) ci vendettero a nuovi re affaristi senz’altro blasone che non fosse quello di latta delle loro carrozze semoventi, avidi re che dopo averci spremuti per cent’anni ci hanno buttati come si butta via una scorza di limone usato. Finalmente. S’intravede, fra i miei rami ormai spogli di anziano torinese, un cielo senza re. Come corona, mi basta quella delle Alpi.

 

 

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Santoni e marajah

In economia il consumismo è quel sistema che per dare lavoro a tutti e distribuire ricchezza al maggior numero possibile di persone accelera la circolazione monetaria forzando il consumo di beni e servizi, indipendentemente dalla loro necessità, anzi, ricorrendo al plagio pubblicitario per farceli credere necessari. La sociologia, invece, è più severa verso il consumismo e ne denuncia gli effetti perversi: la degenerazione dei consumi, il loro innalzamento a funzione fine a se stessa, gli eccessi nel praticarli (cioè gli sprechi), il loro impatto ambientale, la loro deformazione in status symbols, il loro abuso come droga psicologica.

Plaudo a chi, come Beppe Grillo, cerca di svegliare noi topi ipnotizzati dal grande pifferaio pubblicitario, ma mi sembra che il consumismo sia solo l’ultima versione di tendenze umane antichissime. Lo spreco e l’ostentazione sono già condannati sia nella mitologia greca (ricordate la leggenda di Re Mida?) sia nella Bibbia (“così parla il Signore… il ricco non si vanti della sua ricchezza” – Geremia 9/23), ed il Vangelo elabora ulteriormente questo concetto, parlando di relatività dei valori. Ricordate la parabola del ricco fariseo che fa un’elemosina pingue, dando però il superfluo, e della povera vedova che fa un obolo piccolo, ma che rappresenta tutto ciò che ha? Il concetto di valore è qui ancora rapportato all’ambiente esterno, ma lo si dovrebbe rapportare al nostro interno, perché il solo, vero valore di ogni cosa è quello che ognuno di noi le attribuisce nel suo intimo.

C’è un apologo indiano che lo spiega bene. Racconta di un venerato santone che viveva di sola elemosina, girava nudo e non possedeva che il suo bastone. Costui fu invitato una sera a palazzo da un ricco marajah. Pranzando al suo fianco, ne stava condannando gli sprechi, le opulenze inutili, gli ori, le sete e gli oggetti preziosi che ornavano la sua dimora, quando la reggia andò a fuoco. I due fecero appena in tempo a mettersi in salvo, ma nulla scampò all’immane rogo. Davanti alle ceneri fumanti, il marajah se ne stava impassibile. Il guru invece si lamentava perché il suo bastone era andato bruciato.

Finale secondo la sociologia anticonsumista: il santone capisce la profonda lezione che gli viene dalla calma del ricco signore, s’inginocchia davanti a lui e gli chiede perdono. «Entrambi – dice – abbiamo perso tutto quello che avevamo, ma solo adesso capisco che era più tenace il mio attaccamento ad un semplice bastone di quanto lo fosse il tuo alle immense ricchezze che io ti rimproveravo»

Finale secondo l’economia consumista: il santone pensa che il ricco sia impazzito, e lo apostrofa rudemente. «Budda fàus – dice – siamo entrambi rovinati. Tu hai perso il palazzo e tutte le tue ricchezze. Io non ho neanche più il bastone. Come fai a startene lì senza batter ciglio?». E il marajah gli risponde: «Calmati, vecchio. Intanto comprerai un bastone nuovo dando lavoro a un falegname. Poi io farò lo stesso con la mia reggia, dando lavoro a muratori, artigiani e commercianti. E la prossima volta, visto che per te il bastone è così importante, fai come ho fatto io con il palazzo: assicuralo ai Lloyds».

 

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