Archivi del mese: Maggio 2009

Gente easy

Una ricca cinquantenne del “tout Turin”, bisturata e bistrata (una che conobbi non biblicamente molti anni fa e mai più rividi), mi ha ripescato su Facebook e mi scrive: «ciao Manlio …(il tale giorno) organizzo un evento chiuso con light dinner,più consumazioni nel magnifico giardino de Le Meridien via nizza con parcheggio garantito…voglio o vogliamo creare un gruppo di gente simpatica ,easy che possa interagire anche per lavoro…un pò fuori dalle solite e ripetute cose …mi piacerebbe rivederti …così dimenticare per qualche ora un pò i propri casini e pensare ,che in quell’ assenza di tempo, si possa respirare lievi ..coinvolgi chi vuoi …smack» A parte la data “coperta” e l’omissione della firma, ho fatto il copia-incolla del messaggio così com’era, compresa l’orgia di puntini, la spaziatura errata, le virgole mancanti o non necessarie e i due “pò” con l’accento. Per farvi apprezzare lo stile “easy”. Poi ho deciso di usare come post di oggi la mia risposta. Eccola.

«Cara (…) non verrò al tuo “evento chiuso” per una serie di motivi. 1) Odio il Lingotto, lugubre fabbricone da far saltare in aria, luogo di prevaricazioni e sofferenze inenarrabili (i cessi, alla turca, avevano porte e paratie divisorie in lamiera ad altezza 1,50 onde permettere ai guardioni di spiarti da sopra mentre cagavi, per scoprire se leggevi o fumavi e darti in quel caso una multa con diffida che dopo tre volte significava licenziamento), luogo saturo di energia negativa dove aleggiano i fantasmi dei morti per infortunio e per cancro preso al reparto verniciatura, struttura che sarebbe stata abbattuta con la dinamite in pochi giorni se il sindaco di Torino Novelli avesse concesso il diritto di edificabilità del quartiere progettato dagli Agnelli in quell’area. Ma erano gli ultimi anni ’70: Il Pci col suo 34% aveva sfiorato il sorpasso della Dc. Novelli voleva far sapere a Berlinguer (in previsione di future carriere) che era un duro così duro da non esitare a dare il “niet” ai nuovi Savoia della Val Chisone.

Fu allora che gli Agnelli ordinarono al loro potente ufficio stampa di convincere il mondo che quel tetro lager dismesso (che col sì di Novelli sarebbe stato raso al suolo senza rimpianti) era un “prodigio di architettura industriale”, un capolavoro degno della tutela delle Belle Arti. E per “valorizzarlo” inventarono quel sepolcro imbiancato che è il “Lingotto fiere” con tutti i suoi annessi e connessi (Meridien, Auditorium, Multisala, 8Gallery…), spaventosa macchina mangiasoldi (pubblici, cioè nostri), struttura orrenda e ibrida che solo l’ingordigia prepotente degli Agnelli e la viltà dell’ambiente politico, sindacale e culturale azzerbinato ai loro piedi potevano partorire. E devo dire che ci sono riusciti, se una donna di mondo come te definisce “magnifico giardino” quel cortile interno del Méridien, dove d’inverno non arriva neanche il sole, pieno di edera, siepi e piante cresciute fuori e portate lì in vasi, tra ombrelloni e gazebi. Non riuscirei mai a “respirare lieve” lì dentro.

2) Mi sta sul cazzo la gente che parla come gli yuppies delle agenzie di pubblicità: evento chiuso, light dinner, easy, interagire… 3) A proposito di “interagire ANCHE per lavoro” ti avviso, qualora non lo sapessi, che quel sistema l’ha inventato la massoneria tre secoli fa. Poi glie l’hanno copiato i vari Lions, Rotary e club minori, forse quelli che tu chiami “le solite e ripetute cose”. Io però sono un vecchio orso incazzoso e depresso che trascorre gli ultimi anni della sua esistenza facendo ordinaria manutenzione alla sua ormai acclarata mediocrità, fisica e mentale. Conosco già troppe persone (su Fèisbuc, pur limitandomi a confermare amicizie, senza mai chiederle, sono già oltre i 600 “amici”…) e non ho voglia né bisogno di “interagire” con altri che non siano i pochi e collaudati amici veri, setacciati (e adesso inizio a dire anche risparmiati) dal tempo. Senza offesa, mè bel donin. Ti restituisco il generico smack che in pieno stile Feisbucchiano hai copiaincollato a tutti gli invitati. Stame bin, nèh, belagiòia. Manlio»

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Pregiudicato sarà lei

Sulla condanna di Travaglio ad 8 mesi per aver diffamato Previti ho ricevuto (da Michele) uno scritto ch’a merita ‘l post dël post. Dice: «Da Santoro l’On. Lupi ha sostenuto a ragione che Travaglio è stato condannato in primo grado, ma il cabarettista del Travaglino, come suo solito, ha subito sviato il discorso, affermando di essere incensurato, di avere una fedina penale sulla quale è scritto: “Nulla”. Sarà anche vero, ma che c’entra? Travaglio non ha ricevuto una condanna definitiva esattamente come Mills e Berlusconi, ma in effetti, una condanna l’ha subita.

Travaglio è il megafono gracchiante di “checiazzecca”. E’ l’amplifon del grillismo più becero e qualunquista. E’ il giornalista che si dice neutrale e poi va a cena abitualmente con Caselli. E’ quello che porta la famiglia in ferie in Sicilia ospite di Ciurro (condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e poi accusa Schifani di aver frequentato 15 anni fa soggetti solo oggi reputati “in odore” di mafia. E’ quello che si lamenta che in Italia non c’è libertà di espressione, ma lo dice dalla TV di Stato, in prima serata, a spese nostre e senza mai lo straccio di un contraddittorio. E’ quello che ha firmato una legge di iniziativa popolare per l’abolizione dell’appello, ma oggi strilla stizzito “non sono un pregiudicato!” perché è ricorso in appello, aggrappandosi proprio all’istituto che lui stesso vorrebbe cancellare.

Lui che fa tanto il precisino, dovrebbe sapere che la presunzione d’innocenza prevista dall’articolo 27 della Costituzione vale per tutte le condanne che non sono ancora passate in giudicato, anche quelle non emesse per intervenuta prescrizione. Invece il nostro forcaiolo (che se la canta e se la suona) dice che l’imputato per il quale è scattata la prescrizione non è stato assolto, ergo è colpevole. Falso: l’onere probatorio è sempre a carico della pubblica accusa e, fino a prova contraria ciò che si presume è l’innocenza, non la colpevolezza, anche in caso di condanna nei gradi precedenti. Come può Travaglio adombrare la colpevolezza di Berlusconi nei reati prescritti, se manca una pronuncia giudiziaria conclusiva di tutto l’iter processuale? Semplice: non può. O meglio: non potrebbe, ma lo fa lo stesso. Della serie calunnia, calunnia: qualcosa resterà.»

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Nodi parentali gordiani

Tre storie strane e contraddittorie sui legami parentali. Storia n.1: il pensionato torinese che fu trovato mummificato addirittura due anni dopo la sua morte, ma che rimase ancora per mesi all’obitorio perché la moglie e i figli non volevano occuparsene: tanti anni prima lui era fuggito con un’altra, lasciandoli in miseria, e non s’era mai più fatto vivo. “E’ come se fosse morto allora” dicevano. Storia n.2: i figli adottivi e le madri naturali che hanno fondato un’associazione e si aiutano a vicenda a cercare gli uni la mamma, le altre i figli. Pensate che, nei testi di legge, colei che dopo il parto rifiuta la prole viene indicata come “procreatrice” e non come madre, come se l’atto contro natura la escludesse dal meritare quel sacro nome. Eppure, se nell’associazione ci sono molte “procreatrici” pentite che cercano disperatamente i figli rifiutati, non sempre le cose vanno così.

Storia n. 3: una “procreatrice” (agiata e con figli), è stata rintracciata per donare il midollo alla figlia rifiutata (sposata, e anche lei con due bimbi), ma si è negata per non perdere l’anonimato. “La legge mi ha garantito la segretezza – ha detto – e non posso ora rovinare la serenità della mia famiglia per un episodio sepolto della mia adolescenza”. La figlia leucemica, prima di morire, piangeva: “è come se mi avesse abbandonata un’altra volta”. In realtà la snaturata abbandonava con quel gesto anche i nipoti. Rivelandosi e donando il midollo avrebbe regalato una madre alla sua prima figlia, e una nonna ai due figli di lei.  Continuando a nascondersi e negando il midollo, ha reso orfani i due bimbi. Altro che far loro da nonna-madre per riscattare l’antica colpa! Si resta allibiti.

C’è un fatto interessante, da notare, dopo questa carrellata di vicende parentali tra loro contraddittorie. I figli adottivi riuniti nell’associazione vogliono sapere non tanto “chi” ma “perché”. Non gli interessa, cioè, l’identità della loro procreatrice, ma il motivo dell’abbandono. Come se avessero un complesso di colpa (loro, invece di lei!). Vogliono “chiudere il cerchio”, anche se sanno che potrebbe costargli rifiuti dolorosi (come è accaduto alla leucemica) o delusioni. I romanzi popolari dell’800 (Dickens, Hugo, Malot…) erano pieni di storie così. Però l’abbandonato di allora chiedeva sempre “chi”, e basta. Il “perché” era sottinteso (miseria, disonore…) e la morale del tempo rifiutava l’idea che la madre, una volta rintracciata, si negasse. Sarebbe stato assurdo. Però nei romanzi: nella realtà succedeva anche allora. Siamo diventati amorali noi, o erano più ipocriti loro?

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Non dire gatto

Ma sì, vale la pena farne un post. In fondo il blog cos’è se non lo specchio dei miei pensieri? E a questo adesso sto pensando. Proprio oggi avevo scritto a tre amici: «Mi si presenta un’occasione unica, che ha il sapore di “ultimo tram”. Ho sempre amato il mare (nuoto come un pesce in cinque stili, scendo sott’acqua fino a dieci metri in apnea…), ma per tutta la vita me lo sono goduto solo da riva, da “bagnante”. Non sono mai stato su una barca a vela “seria”. Ora, un mio amico che ha la barca in Istria deve portarla in Sardegna, facendo il periplo dello stivale. Quindici giorni di navigazione. Voleva farlo in solitaria, ma vedendomi depresso mi ha proposto di accompagnarlo.

Ed eccomi arruolato come mozzo di uno scafo mariano (nel senso di barca della madonna) dal primo al 15 giugno, più o meno». La proposta mi era stata fatta il 5 maggio. Ci ho pensato, ci ho pensato tanto, e venerdì scorso gli ho dato la conferma. Ma ci avevo pensato troppo. Non avendomi più sentito, lui aveva accettato la proposta d’accompagnamento di un altro amico, oltretutto velista consumato e non digiuno d’ogni nozione marinara come me. Venerdì a teatro, in mezzo a tutti, non aveva osato farmi tutto l’imbarazzante discorso che si riassume in tre parole: “Sono già sistemato”. Me l’ha fatto oggi per telefono, combinazione poco dopo che avevo scritto ai miei tre amici.

Ovviamente ha tutte le ragioni del mondo. E’ colpa mia che ci ho pensato troppo. Credevo che il tram si fermasse, e invece dovevo saltarci sopra al volo. Ormai è passato, e l’ho perso. Sliding doors… Morirò bagnante con tuffo dal moscone. La mia vendemmia tardiva di vela in alto mare resterà un’idea cullata per qualche settimana. “La realtà è illusione, solo oltre la vita si annida la verità” aveva scritto Titti sulla porta di camera sua. Vuol dire che magari nella prossima vita rinascerò Soldini… Quanto ai tre amici, però, aveva ragione Trapattoni: “Non dire gatto se non l’hai nel sacco”


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La gara del paracadute ciulòiro

 

Lo sapevo che il post sul differenziale di libido fra maschi e femmine avrebbe scatenato le proteste di molte amiche, specie in privato. Ma la natura funziona così, non c’è nulla da fare. Basterebbe il buonsenso e la testimonianza della gente a confermarlo, senza bisogno di prove scientifiche. Eppure cade a fagiolo l’articolo di Tuttoscienze dove Stephan Hamann, della Emory University of Atlanta spiega perché gli uomini si arrapano più delle donne, anche davanti alle immagini porno. Secondo Hamann è una questione di amigdala e ipotalamo, centri cerebrali deputati, tra l’altro, all’elaborazione d’immagini a forte valenza emotiva. Nei maschi funzionano più che nelle femmine. Si potrebbe quasi dire che l’ipotalamo ce l’hanno solo le donne. Noi abbiamo l’ipertalamo. Anzi, anche l’ipersofà, l’ipersedile di auto, l’ipercamporella, l’ipertutto. Basta che ce la diano.

Ma valeva la pena, benedetti yankees, spendere soldi e tempo per scoprire che la mela piace a Adamo più di quanto non piaccia ad Eva la banana? Lo dice anche l’antropologia: se la libido maschile non fosse superiore a quella femminile, ci saremmo già estinti da un bel pezzo. E lo conferma anche la “gara del paracadute”, esperimento virtuale che ho inventato per convincere i (pochi) dubbiosi. Prendasi un maschio strafico (tipo Brad Pitt) e una donna stracesso (tipo figlia di Fantozzi) e li si paracaduti insieme 100 volte, nei posti più diversi del pianeta, col patto che i due, appena atterrano, devono cercare un partner di sesso opposto con cui ciulare, senza pagarlo e senza usargli violenza. Chi ce la fa per primo, fa punto. Avete un solo dubbio che vincerebbe la donna? Io no. Per me vincerebbe 100 a zero. 99 a uno solo se atterra su Niki Vendola.

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Quel prurito che non è orticaria…

Leggo di tal Lucia che a 60 anni reclama un sesso che non riceve più né dal marito né dai coetanei, attratti da più fresche forme. Qui è facile cadere negli schemi, per cui m’astengo dal giudicare, osservo e penso. Penso ad esempio che l’antropologo ci aiuta a capire come andarono le cose nella notte dei tempi, e come ciò pesi ancora sui nostri comportamenti. Per milioni di anni la donna fu fattrice, e basta. Finita la capacità riproduttiva, finito il sesso. Persino le ghiandole obbediscono a questa legge, ancora oggi, riducendo con la menopausa le secrezioni ormonali legate al sesso. Ma, “do ut des”: la femmina dell’homo erectus imparò a concedersi con parsimonia, per far fruttare al massimo il differenziale di libido che natura pone tra lei e lui. E si diede, per millenni e millenni, contro protezione e cibo, cioè sicurezza, cioè vita.

Solo in tempi recenti iniziò a pretendere sentimenti e moine. Ora poi che s’è liberata, ed ha raggiunto il maschio nel lavoro, nell’aggressività e nelle pretese sessuali, la natura stenta a adeguarsi. Per fare un esempio, in lui l’eccitazione continua ad essere indispensabile per l’erezione, e l’orgasmo per l’inseminazione. Lei invece può essere ingravidata anche senza eccitazione ed orgasmo, perché a madre natura non importa che goda, ma solo che si riproduca.

Su questa primordiale brutalità (che però è durata per il 99% del tempo trascorso da quando l’uomo è sulla terra) si è sovrapposta, in quell’ultimo batter di ciglia che è la storia di fronte alla preistoria, la cultura. Ed ha cambiato tutto. Ruoli, aspettative, esigenze, rapporti. Nella confusione che ne è seguita (specie negli ultimi quarant’anni d’incredibile accelerazione) si trova e si legittima tutto. Non solo le Lucie, ma anche i mandrillosauri viagrati, le famiglie omosex, il porno, ogni cosa. In attesa di rimettere un po’ d’ordine, madama non si vergogni dei suoi pruriti, ma non detesti neppure i parinotti che li snobbano. E’ la natura che tenta di ritrovare il passo.

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Il cuculo

A volte si vorrebbe intensificare le sensazioni piacevoli, esser “tutto naso” per sentire meglio un odore, o “tutt’orecchi” per ascoltare meglio un suono. La dimensione no, ma la sensibilità dell’organo sensitivo si può aumentare con aiuti meccanici (pensate al binocolo, al cornetto acustico…), o chimici (pensate agli effetti dell’alcool, delle droghe in genere…). Ma c’è un’altra cosa, una cosa semplice, che aumenta di molto il piacere: il desiderio. A volte è persin più bello del possesso, il desiderio; è una pedana a molla che, più è compressa, più in alto fa volare il godimento. Poiché ogni cosa genera la voglia del suo contrario, che c’è di meglio di un’ondata di freddo tardiva per desiderare l’opposto e poi gustarne l’arrivo?

Un mese fa pioveva in tutta Italia, e nevicava sopra i 1500 metri. La minima era sei gradi, a Cavoretto, ed era aprile. Ma ora è fatta, è arrivato il bel sole, finalmente. E col bel sole è arrivato il caldo. Si festeggia? Macché. Invece di godere di più perché il freddo tardivo ha acuito il desiderio di tepore, invece di gustarci queste prime passeggiate in t-shirt o in camicetta come baci d’un’amante fuggita e poi tornata, abbiamo i Tg-balia che imperversano: questo caldo improvviso può far male, e poi i pollini, e l’insonnia, e l’esperto che dice come fare, cosa mangiare, come vestirsi… Ma piantatela, velinari del pento! Godetevi il canto del cuculo, prima che la gente vi ci mandi, ma senza la prima sillaba!

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Pitbull e gatti siberiani

I compagni si lagnano tanto che il Berlusca un giorno dice e il giorno dopo smentisce, ma anche loro non brillano, in coerenza. Ogni volta che gli autonomi fanno casino, ad esempio, la sinistra moderata (lo so, è un ossimoro, è come dire “la leale Juve”…) si precipita a “prendere le distanze”. L’ha fatto anche stavolta, dopo i disordini di Torino per il G8 dei rettori, e Di Pietro ne ha subito approfittato per rubarle voti fra gli studenti, lodando e approvando gli sfasciatutto dell’Onda. Invece di prendere le distanze “da poche decine di scalmanati”, i rossi dovrebbero fissarle, ‘ste distanze, una volta per tutte. Il guaio è che sono elastiche. A volte scompaiono persino, come quando la sinistra mette mano al portafoglio (nostro) per pagare agli “scalmanati” affitto, bollette ed ogni altra spesa dei loro covi.

Poi frignano, i compagni, quando i pitbull che hanno addestrato e messo a cuccia nei “centri sociali” gli si rivoltano contro e li mordono. E’ successo solo sabato scorso al Lingotto: i Cobas hanno tirato giù dal palco e malmenato Rinaldini, il segretario della Fiom-Cgil. Buffo sentirli, gli “esponenti” del Pd e della Triplice, parlare, dopo, di “provocazione di una minoranza ridicola in cerca di visibilità mediatica”. Proprio loro che han sempre pappagallato Lenin (“sono le minoranze che fanno la storia”), loro che si sono sempre vantati di portare in piazza le persone a centinaia di migliaia (su 60 milioni di Italiani…), loro che a scuola e in fabbrica dominavano le assemblee in quattro gatti, negli anni ’60 e 70, solo col casino e l’intimidazione fisica. Loro. Pretendevano di squalificare quelli che han fatto la stessa cosa a Rinaldini, minimizzandone il numero. Come ho detto, non è che brillino, in coerenza.

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Incrostazioni semantiche abusive

Oggi su FB c’era la lettera che il Pontefice Massimo attuale della Goliardia torinese ha mandato a La Stampa, per lagnarsi dell’ennesimo uso distorto fatto in quel giornale delle parole “goliardia” e “goliardico”. Ciò mi offre il destro di usare come post il pezzo che scrissi sul Borghese nel Luglio 1997 per analogo motivo. I riferimenti sono datati (quella volta ad essere definite “goliardiche” erano le presunte torture dei parà della Folgore in missione Onu in Somalia) ma la polemica linguistica è attualissima ed applicabile al pezzo della busiarda che ha offeso i goliardi oggi. Ecco dunque quanto scrissi.

E bravo Andreatta, che non sapendo cosa dire sul caso Folgore-Somalia ha pensato bene di trascinare nel fango la goliardia, di cui evidentemente (per formazione intellettuale, estrazione politica ed albagìa senile) non sa nulla. Ha pisciato fuor dal vaso, insomma, al punto da venir rimproverato addirittura dall’Osservatore Romano. Purtroppo se un Romano (l’Osservatore) lo ha ripreso in senso di “redarguito”, un altro Romano (il giornalista Sergio) lo ha invece ripreso in senso di “citato con approvazione”. Così la sua bella uscita di Bruxelles sulle torture (“la frontiera fra goliardia, teppismo e brutalità è meno evidente di quanto non si pensi”) è finita dai telegiornali alla prima pagina de La Stampa.

Giuliano Ferrara, nel tentativo di difendere Andreatta, ha peggiorato (se possibile) le cose nel suo fondo sul Foglio dei Fogli del 16/6, affermando che “egli non voleva affatto abbassare al livello di goliardia i fatti raccapriccianti….”. Dunque la goliardia, per Sor Giuliano, è ancora al di sotto delle torture, che almeno hanno nel male una loro turpe dignità. Più avanti l’elefantino passa a sostenere, bontà sua, che “la goliardia di caserma e il nonnismo sono fenomeni che entro certi limiti e a precise condizioni degenerative si possono apparentare alle peggiori violenze contro la persona”

La confusione e la leggerezza con cui questi “maîtres à penser” trattano il termine “goliardia” è disarmante. Dovrebbe riguardare un fenomeno sociale e culturale strettamente circoscritto all’ambiente universitario, invece viene degradato a sinonimo di “allegria scoordinata, giocosità puerile, pressapochismo” e tranquillamente applicato ai vari ambienti, per cui, oltre alla goliardia da caserma, ci sarà una goliardia bancaria, una goliardia ospedaliera, ecc…

E’ chiaro che sfugge ad essi il messaggio essenziale della goliardia, che è quello di non prendere mai troppo sul serio se stessi per potersi permettere di non prendere troppo sul serio gli altri. Che la goliardia non piaccia ad Andreatta lo possiamo anche capire: è un contabile, seppure di buon livello, e i contabili adorano i conti, non i canti. E’ anche un docente universitario, di quelli che fanno i cazziatoni in istituto, amano l’ossequio di colleghi e sottoposti, e vorrebbero solo allievi secchioni e violini da sfruttare come manodopera intellettuale gratuita per le loro pubblicazioni accademiche. Mettere in mutande una matricola è, secondo questo tipo di docenti, una tortura, ma non lo è la loro prassi di obbligare senza retribuzione i neo laureati in istituto alle più vili incombenze nella vaga prospettiva di una qualche sistemazione accademica.  I baroni alla Andreatta non amano gli studenti irrequieti e scanzonati come i goliardi, consapevoli dei loro diritti e pronti a rivendicarli in aula come in piazza, a suon di beffe. Quindi posso capire Andreatta e Ferrara, che sono perfettamente allineati alla cultura egemone del dopoguerra, ma mi è più difficile capire l’ex ambasciatore. Sembrava una persona intelligente, un giornalista colto e preparato, e invece accosta la goliardia alle torture con la stessa leggerezza di un idiota che identifichi la vita diplomatica nelle feste degli spot del Ferrero Rocher.

E non ci vengano a parlare di maltrattamenti imposti alle matricole. Può essere successo qualche volta che un anziano abbia calcato la mano, ma sono eccezioni rarissime, e comunque mai a livello di torture. Il concetto di “iniziazione”, di “noviziato” è antico quanto il mondo. Ancora oggi i novizi degli ordini monastici sono sottoposti alla disciplina più dura e provocatoria e alle mansioni più vili per saggiare l’autenticità della loro vocazione. Lo stesso avviene nelle scuole di addestramento di tutti gli eserciti, in special modo coi volontari dei corpi specializzati. Lo stesso, con le opportune modificazioni, avviene anche negli ambienti di lavoro. La burla al neo affiliato esiste persino nello sport, nelle squadre, nelle rappresentative nazionali, senza che nessuno se ne scandalizzi.

Il buffo, poi, è che a difendere la goliardia, con un articolo sul quotidiano ufficiale del Vaticano, è scesa in campo proprio lei, la Chiesa Cattolica, bersaglio storico delle nostre satire fin dai tempi dei clerici vagantes medioevali. E’ talmente assurdo, che ci viene da ridere, e di una bella risata noi goliardi siamo sempre grati. Anche a chi, come Andreatta, Romano e Ferrara, ci insulta senza saper nulla di noi.

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Tukul, non mikul

Le interminabili dirette della Rai dal Salone del Libro. Il sospetto è che più la donna è troia, più va in chiesa. Fuor di metafora, andare lì a far servizi per ore, intervistare scrittori e intellettuali, farcire il palinsesto di pubbliche letture e pallosi dibattiti (e di ben pagate presentazioni di libri…) conferisce a direttori, programmatori e giornalisti un’aura intellettuale, che li fa immaginare diversi da quel che sono in realtà. Stamane c’era uno studioso di sinistra, Alberto Salza, che parlava del suo libro “Antropologia della povertà estrema”, sciorinando le solite accuse all’occidente bieco e sfruttatore e al capitalismo corruttore, a suo dire, della verginità originaria delle popolazioni più povere, dove si spartiscono tutto il pochissimo che hanno. Non so dove Salza avrà tratto questa convinzione para-Pascaliana secondo la quale l’uomo più è povero più è buono, ma lui ha studiato molto, viaggiato in tutto il mondo e visto tantissime popolazioni… Chissà perché, però, il suo libro è in vendita. Capisco la brama di far sapere al mondo la sua rivoluzionaria teoria, ma uno straccio di Onlus che gli finanziasse le spese di stampa la trovava, uno come lui, se voleva diffondere la buona novella senza guadagnarci sopra come facciamo noi, biechi capitalisti sfruttatori.

Ultima perla, sempre del citato Salza, a proposito della recente legge sul reato di clandestinità: “E’ assurdo, incredibile, pazzesco che un uomo venga incriminato non per un reato che ha commesso, per una cosa che ha fatto, ma così, solo per il suo status, per la sua semplice condizione, per una situazione contingente, una cosa di cui non ha alcuna colpa”. Calma, Salza. Si faccia spiegare poche, ma fondamentali nozioni legali (proprietà privata, diritto internazionale, confini, passaporti…) I candidati all’espulsione non erano clandestini nei loro tukul. Lo sono diventati quando sono entrati in Italia (casa nostra) senza permesso. Se no, quando lei se ne va all’estero per mesi, vorrei che qualche “persona senza colpa, nella condizione contingente di clandestino” entrasse di nascosto e si installasse in casa sua, vuotandole la dispensa e la cantina, usando i suoi vestiti, il suo letto, il suo cesso, il suo telefono, e sporcando tutto ben bene. Per vedere cosa direbbe lei al ritorno. Va già bene se si limita a cacciarlo senza denunciarlo (che è la situazione prevista dalla legge sui clandestini appena votata). Ma per me lei lo mena anche, e poi lo denuncia. Perché siamo alle solite: lei trova chic fare il frocio, ma non col suo culo. Col nostro.

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