La mossa del no-cavallo

Odio l’ipocrisia del green pass. Non è un attestato d’immunità, perché i vaccini non la garantiscono. Neanche una prova di non infettività, per lo stesso motivo. Serve solo a forzare i riottosi a vaccinarsi, e per ciò è un ricatto. Lo Stato non rende la vaccinazione obbligatoria per legge solo per evitare di dover risarcire eventuali effetti collaterali gravi, possibili con un farmaco emergenziale, autorizzato senza le dovute sperimentazioni. Ma, a parte i bla bla sull’efficacia vaccinale, infastidisce l’obbligatorietà del ‘passaporto verde’ (con tutte le incomprensibili eccezioni), per tutto, anche studiare e lavorare. Se si accetta il principio di un qualsiasi pass, potrebbe capitarci un domani di vederci rifiutare un accesso, un trasporto, un acquisto, un uso, un documento perché con un Dpcm infilato nottetempo quel pass è stato esteso dal vaccino al pagamento delle tasse, all’esame del sangue, al fumo, eccetera. E’ il principio delle ganasce fiscali: ditemi cosa c’entra l’automobile con l’Imu. Trucco odioso, ma antico. Nel medioevo proibivano agli ebrei, per tenerli sotto scacco, di possedere un cavallo e fare certi mestieri. L’impero ottomano faceva lo stesso ai cristiani, aggiungendo il divieto d’istruzione. E nella Torino del ‘700 gli universitari non potevano dare un esame se non esibivano l’attestato di frequenza alle funzioni religiose (con assunzione dei sacramenti) rilasciato dal clero. Oggi la “cittadinanza a punti” è ormai prassi in Cina, dove milioni di telecamere a riconoscimento facciale e posturale ti braccano e ti tolgono punti se attraversi fuori dalle strisce. Senza punti, sei come i cristiani slavi senza cavallo e senza scuola. Fottuto. Il Grande Fratello è già qui.

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